SU MEDICINA TERRITORIALE E NUOVO OSPEDALE SI RIFA’ VIVO IL COMITATO SALUTE VCO

SU MEDICINA TERRITORIALE E NUOVO OSPEDALE SI RIFA’ VIVO IL COMITATO SALUTE VCO

Dopo un lungo periodo di assenza (che non significa però un disimpegno dai problemi della sanità),  torna a farsi vivo il Comitato Salute Vco il quale, premesso di avere continuato a monitorare l’evolversi della situazione intervenendo raramente e solo su temi concreti, esprime compiuacimento per la solerzia della Direzione generale (cosa a cui non si era abituati) nell’affrontare i problemi.  Il Comitato osserva che restano sul tavolo due temi fondamentali, la medicina territoriale e l’ospedale nuovo, e proprio du questi interviene per esprimere in un comunicato le proprie riflessioni, riconducibili all’esigenza di un assetto organizzativo adeguato per le Aggregazioni Funzionali Territoriali e a quella di accelerare l’iter realizzativo del nuovo nosocomio:

LA MEDICINA TERRITORIALE. I due temi sono strettamente collegati perché, se non c’è un’assistenza territoriale che funziona, i problemi si riversano sull’ospedale, come ora, e poiché la legge Balduzzi ha ridisegnato la Sanità in questo senso, l’Ospedale nuovo è stato pensato solo per le “acuzie”, dando per scontato che la Sanità territoriale sia presente e funzionante. La situazione sul territorio provinciale non è tranquillizzante; dei tre progetti di costituzione delle A.F.T. (Aggregazioni Funzionali Territoriali), che qualcuno chiama impropriamente “Case della salute”, previste a Omegna, Crevoladossola e Verbania, solo Omegna e Crevoladossola stanno cominciando a funzionare, mentre a Verbania non siamo ancora pronti. C’è però un altro problema, che è rimasto sotto traccia, anche se di rilevante importanza, ed è il rapporto con i Medici di famiglia, i quali hanno la libertà di aderire o meno a questa riorganizzazione della sanità. La creazione di una rete di studi medici, come è stata realizzata a Verbania e che viene vigorosamente difesa da chi l’ha promossa, non risolve il problema così come previsto dalla legge Balduzzi. Infatti, gli studi medici sono diffusi sul territorio e, quando sono chiusi, o si ricorre alla “Guardia medica” o, se questa non è disponibile, ci si reca al D.E.A. In sostanza, l’obbiettivo di sgravare il Pronto soccorso dai codici bianchi viene eluso, mentre con una A.F.T. aperta fino a 24 ore il risultato sarebbe diverso. Adesso, che la seppur ritardata decisione di aprire una struttura A.F.T. a Verbania è stata presa, ci aspettiamo che il suo assetto organizzativo sia realizzato nell’interesse dei cittadini, vale a dire che – al più presto – va garantita la presenza dei medici di famiglia, della Guardia medica, del Consorzio dei servizi sociali, degli specialisti medici e non, con la strumentazione utile a evitare un ricorso inappropriato al Dea.

IL NUOVO OSPEDALE. Che la collocazione della struttura, per quanto discutibile, sia frutto di un accordo politico lo testimonia il favore generale dei Sindaci del VCO, quando la proposta fu avanzata e a loro va il merito di avere già precedentemente deciso per un Distretto sanitario unico nel Vco. Detto questo, chi si illude che vi possa essere una soluzione diversa va riportato alla realtà. Ripetiamo ciò che da tempo diciamo e cioè che nessuno dei due ospedali di Verbania e Domodossola è compatibile con i nuovi standard di ricovero in vigore. Lo testimoniano i lavori di ristrutturazione in corso al Castelli e l’impossibilità di accorpare gli edifici al S. Biagio; quindi, nessuno dei due nosocomi può ragionevolmente candidarsi a struttura provinciale. Un’altra difficoltà, che da tempo segnaliamo, è stata confermata dall’attuale Direttore Generale nell’intervista rilasciata a dicembre 2017, ovvero la difficoltà di reperire delle professionalità adeguate per il loro inserimento in organico. Il blocco delle assunzioni per troppi anni, che si è accompagnato al numero chiuso per molte specialità universitarie, sta diventando una mina vagante in tutta Italia. E, con queste carenze di personale ovunque, nessuno vuole trasferirsi in “periferia”. Quindi, mantenere l’attuale assetto ospedaliero è perdente, non solo dal punto di vista dei maggiori costi (9 milioni/anno), sottratti alle possibilità di miglioramento dei servizi, ma anche e soprattutto per il pericolo di uno scadimento qualitativo, che incoraggerebbe inevitabilmente la “mobilità passiva”. Stante queste premesse e l’impatto negativo sui servizi che ne deriverebbe, siamo fortemente preoccupati per la lentezza dell’iter realizzativo del progetto, che per ragioni burocratiche sta scontando ritardi ingiustificati. Era questo uno dei rischi che avevamo denunciato già 15 anni fa e che puntualmente si ripresenta oggi. Chi “deve governare” questa delicata partita è vivamente pregato di non perdere tempo.

Nella foto un incontro sul nuovo ospedale unico a Ornavasso

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