
Quando ero bambino lo si aspettava con trepidazione e un poco di timore ad un tempo. Arrivava in genere in tarda primavera, più o meno in concomitanza con la festa patronale. Un paio di settimane prima per la città apparivano grandi manifesti pubblicitari colorati davanti ai quali, andando a piedi alla scuola, non essendo stati ancora inventati gli scuolabus, ci si fermava a lungo sognando di lanciarci da un trapezio all’altro o di soggiogare con il solo sguardo tigri e leoni. Poi finalmente il grande circo – o Darix o Togni o Orfei – arrivava, e riempiva di carrozzoni la grande piazza. Tutti correvamo a sbirciare tra i recinti, sentendo un brivido correre per la schiena all’udire ruggiti e bramiti e quant’altro. Poi c’era la sfilata, con la banda in testa, i pagliacci, le equilibriste in un costume succinto che allora sembrava ardito, le cavallerizze elegantissime, gli elefanti lenti e rassegnati.
Tutta questa atmosfera che si diffondeva per la cittadina era forse più bella dello spettacolo stesso, che comunque si correva a vedere, talvolta un paio di volte, una volta con i genitori e un’altra con la scuola, perché il circo si fermava almeno un paio di settimane. Ricordo ancora, a conclusione dello spettacolo, il laborioso montaggio della gabbia al centro del tendone e l’ingresso in essa solenne e circospetto delle bestie feroci, sospinte a forza, intimorite dal chiasso e dalle luci, e come il domatore amasse – sprezzante del pericolo – voltare loro le spalle per ricevere gli applausi del pubblico.
Chi viveva come me in una piccola città ove non c’era lo zoo (pardon, il bioparco), era quella l’unica occasione per fare conoscenza diretta di tante specie esotiche o africane di animali più o meno selvaggi e feroci. Ma ora, attraverso la televisione, degli animali, anche quelli più strani, conosciamo fino all’ultimo pelo della coda, per cui non serve più andare al circo per vederli. Inoltre gli amanti degli stessi hanno vinto la loro battaglia, impedendo giustamente ai circensi di scorazzarli di qua e di là, spaesati ed infelici. Quindi il circo chiude, cala il sipario sullo spettacolo che una volta era stato definito come il più bello del mondo. Un mondo che da oggi sarà dunque più giusto. Ma anche più triste.
Liborio Rinaldi
da “La Voce dell’Appenzeller Museum”