IL DISCORSO UFFICIALE DEL SINDACO MARCHIONINI

IL DISCORSO UFFICIALE DEL SINDACO MARCHIONINI

Ecco il discorso ufficiale del sindaco Silvia Marchionini in occasione della cerimonia del 25 Aprile per il 70° Anniversario della Liberazione:

Autorità militari e civili, colleghi sindaci, associazioni d’arma e combattentistiche, cittadini

ringraziandovi fin d’ora per l’ascolto paziente di cui mi onorate e confessando l’emozione della prima volta

dico subito che non farò né una commemorazione, non disponendo dei ricordi e cederei alla retorica, né una classica orazione non essendo una storica di professione.

Invece non mi sottraggo ad alcune riflessioni che questa giornata di festa ispira a ciascuno di noi.

Intanto si leva alto il mio, e il vostro, sentimento di gratitudine ai partigiani oggi presenti, ai familiari di caduti, che salutiamo con affetto perchè a noi tocca la sorte, fortunata, di interrogarci, sul valore delle conquiste di libertà e democrazia, a loro, alle donne e gli uomini della Resistenza il destino, ben più duro, di sopravvivere, e lottare, in un’epoca di guerra, dittatura, miseria.

Sono passati 70 anni e sta finendo il tempo della memoria.

Il compito attuale non è più solo quello di fare memoria, ma di completare la conoscenza di quegli avvenimenti narrando le conseguenze che ne sono derivate.

E’ ormai necessario fare il punto su ciò che ha rappresentato la memoria ora che sta finendo l’apporto dei suoi testimoni diretti.

La memoria ha collocato ogni ricordo nell’ambito della sacralità degli avvenimenti e le memorie sono tante quanti sono stati i protagonisti.

E’ ora arrivato il momento di ridefinire le conquiste di quei tempi.

Quelle date, ritrovano una propria utilità se messe in relazione non con il passato che intendono ricordare ma con il presente in cui si inseriscono, con la consapevolezza che viviamo un periodo, di pace e benessere che è il risultato della Resistenza.

Possiamo quindi ben dire che la Resistenza non è terminata ma continua ad essere, citando Norberto Bobbio, una lezione di libertà.

L’antifascismo nel ventennio, la lotta di Liberazione dopo l’8 settembre 1943, hanno dato al nostro Paese obiettivi importanti:

la Repubblica (2 giugno 1946, con il suffragio universale, la prima volta del voto delle donne)

lo Stato democratico e la Costituzione (1948) fondata su principi che rappresentano solide fondamenta: libertà, uguaglianza, diritti civili, lavoro. Vi è un legame stretto fra il 2 giugno 1946 e l’anniversario della Liberazione.

La vitoria della Repubblica scaturì direttamente dalle giornate dell’aprile 1945 e l’esito del referendum fu l’effetto istituzionale di un processo dal basso, autentico: ci raccontano gli storici “che mai nella storia d’Italia si è registrata una così vasta partecipazione popolare a un evento militare e bellico; per la sua ampiezza, la dimensione volontaria del partigianato non ha precedenti né nell’Italia del Risorgimento, né in quella della Prima guerra mondiale, né in quella fascista, compresa Salò” (Giovanni De Luna).

Certo che la zona grigia di quelli che restarono passivi o spettatori fu estesa: ma l’identità di una comunità si costruisce sui punti alti della sua vicenda storica, e sono sempre stati i piccoli gruppi ad avviare le grandi trasformazioni.

Pertanto il lavoro al quale ci dobbiamo accingere implica certamente un uso pedagogico della storia, ma senza indottrinamenti.

Ricordare il 25 aprile 1945 vuol dire anzitutto dare una possibilità straordinaria a chi non c’era, i tanti giovani oggi presenti, di conoscere, e di misurarsi, con la Resistenza nel suo significato essenziale: quel giorno simbolicamente l’Italia ha ri-conquistato la libertà, ha rialzato la testa dalla dittatura, ha ridato la speranza; lo ha fatto grazie all’impegno attivo, coraggioso, di una minoranza; è avvenuto con una lotta senza tregua, una guerriglia densa di imboscate e rastrellamenti, di fughe affannose e riusciti colpi di mano, di sacrifici e gesta eroiche da parte anche di ignoti, spesso giovanissimi (sono loro che determinano i grandi fatti della storia!) di cui resta il segno nelle lapidi, nei monumenti, nei cippi sparsi nelle nostre montagne, e a cui rivolgiamo un pensiero di profondo ringraziamento.

Restituire agli italiani la faticosa quotidianità di quella battaglia, impari per forze e armi, è anche il modo per rappresentare l’aspetto migliore della nostra identità nazionale, e quell’esperienza fu segnata da un assoluto senso del dovere da cui trarre esempio nei comportamenti dell’oggi.

Viviamo da venti anni la scomparsa dei partiti organizzati della prima repubblica, i movimenti che costituirono quello che si chiamava l’arco costituzionale.

Non è un caso che proprio in questo contesto di debolezza politica si siano manifestate richieste sempre più esplicite di revisionismo.

Su questo occorrono alcune considerazioni.

La prima e più evidente: è stato un errore non aver iniziato una discussione storica e storiografica di avvenimenti che necessitavano di essere completamente narrati. Nessun revisionismo avrà successo se saremo in grado di rappresentare la storia di cui stiamo parlando, senza omissioni.

E’ la condizione attraverso la quale gli italiani manterranno inalterato il giudizio su antifascismo e fascismo, sulla Resistenza, sulla Liberazione, come aspetto indispensabile per vivere la cittadinanza nella democrazia riconquistata.

I contenuti delle polemiche che tendono a parificare i fronti in lotta sono evidenti. Essi, tuttavia, non vanno contrastati solamente con il diniego, ma con la franca ammissione di ogni evento senza alcuna remora nel doverli approfondire.

E’ stato un governo di destra che ha istituito la Giornata del Ricordo, perché quel ricordo è stato troppo a lungo dismesso dalla storia ufficiale del nostro Paese. E’ stato così permesso ad un governo di centro destra di presentarsi con il riconoscimento storico di aver ricordato l’esodo dalle loro case di quasi 250.000 italiani. La questione delle foibe è stata una tragedia nazionale che va restaurata nella sua completezza storica.

Non dobbiamo temere un’onesta e completa storia del nostro Paese, perché una doverosa verità non lascia alibi al ribaltamento delle posizioni e sconfigge le intenzioni di coloro che intendono ridurre le due parti in lotta (l’antifascismo e il fascismo) ad un luogo ove uguali sarebbero le responsabilità.

La scelta è una sola: la conoscenza rafforza la libertà.

Può esserci infatti una narrazione collettiva, momenti in cui è possibile delineare una storia di tutti; ma allora questa va individuata dove la ricerca colloca queste vicende, nella loro realtà e non solo nelle mere e artificiose cerimonie istituzionali.

È questo un buon modo, e ricordiamo l’impegno delle Presidenze Ciampi e Napolitano, per superare le contrapposizioni fra ex (fascisti, antfascisti) e consente di recuperare alla passione civile per la Patria, la gran parte dei cittadini (che non sono ex….) in una riscossa nazionale e locale per un futuro migliore da costruire, con umiltà e fiducia, ogni giorno.

Settanta anni fa, tutti gli italiani condivisero il tempo di guerra, della disfatta della Patria, della povertà con i suoi sentimenti: la paura, la fame, la voglia di vivere furono i tratti di un’analoga esistenza collettiva, al Nord e al Sud.

Forse è da qui che bisogna ripartire; la Liberazione è patrimonio di tutti, e il suo insegnamento siamo tutti chiamati a seguire: il 25 aprile 1945 è il giorno in cui, alle 8 del mattino via radio, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, il cui comando aveva sede a Milano ed era presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani, proclamò, l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, e impose la resa al grido «Arrendersi o perire!» e come dichiarò Sandro Pertini: il popolo italiano è capace delle più grandi cose quando lo anima il soffio della libertà.

Ora tocca a noi esserne degni.

Buona festa a tutti.

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