SABOTA, POTERE ALLA PAROLA. STREET ART A VILLA SIMONETTA

SABOTA, POTERE ALLA PAROLA. STREET ART A VILLA SIMONETTA
Nella cornice di Villa Simonetta a Intra, nel mese di gennaio torna a Verbania (dopo la felice e duplice esposizione personale alla Legart di Novara), il misterioso artista verbanese Sabota, famoso per lo stile stencil e per il percorso artistico nelle viuzze di Intra.  Sabota apre nella città dove vive la sua poetica incendiaria del potere della parola.  Il progetto SWALL, una collaborazione di Sabota con il progettista, modellista e tecnico di ingegni Bricksy, mette in mostra la produzione di alcuni piccoli muri e frammenti urbani in scala ridotta, in una ricerca microimmersiva sul paesaggio cittadino e il linguaggio dei graffiti e della street art. È una mostra curata da Maydeas Associazione con la collaborazione della Non Edicola Pontini. La mostra SABOTA TAKE NOTE – Stencil Graffiti Expo si inaugura il 2 gennaio alle ore 17 e sarà aperta fino al 30 gennaio dal mercoledi alla domenica tra le ore 15 e le 18,30.

Prendete nota. 

Questa è una mostra d’arte figurativa, siete venuti per questo. Per le immagini, certo. Per la street art. E le immagini ci sono, realizzate con la ormai caratteristica tecnica dello stencil divenuta nota soprattutto dopo il fenomeno Banksy. Se siete qui per vedere queste immagini, lo so bene, è anche grazie a lui. 

In verità però, prendete nota, ciò che vedrete in questa mostra è scrittura. È scrittura perché la radice da cui nasce la street art sono i graffiti, e i graffiti rappresentano l’uso più libero ed autonomo del segno grafico che abbiamo nella società contemporanea. Storcete pure il naso, ma prima di divenire una moda (come succede sempre, pensate a Che Guevara sulle t-shirt…) i graffiti sono stati un’autentica rivoluzione culturale. E lo restano tutt’ora, assolutamente. Grazie ai graffiti l’atto della scrittura è divenuto un gesto sociale e politico, un atto espressivo che già in sé, nel suo uso libero (e liberato), è una prova di consapevolezza ed emancipazione culturale. Dopo millenni di indottrinamento e analfabetismo di massa, si tratta di una pratica del linguaggio e della comunicazione slegatasi finalmente da istituzioni di potere come chiesa, stato, scuola, tradizione. Per questo i graffiti hanno sempre un effetto eversivo, straniante, vandalico. Sono un’azione culturale emancipata che viene dal basso, anti-istituzionale, anti-accademica, una presa di possesso personale ed autonoma della scrittura e, più in generale, della comunicazione e della cultura.  

La street art, mescolandosi presto sui muri delle città ai graffiti, ha portato su questo stesso piano comunicativo anche l’immagine, intaccando con il suo linguaggio semiotico-visivo il dominio dell’iconografia di potere e in particolare, oggi, del mercato consumista. In fondo si scrivere anche con le immagini. Anzi a dire il vero la scrittura, ovunque si sia manifestata, ha sempre avuto un inizio iconografico. Rovesciate una A e vedrete ancora oggi la testa di un Aleph, cioè un bue. Figura e lettera hanno infatti una storia comune, che poi è la storia di quell’intelligenza sapiens in grado, da circa 30.000 anni, di usare immaginazione, metafore e linguaggi simbolici come nessun’altra specie. Una storia grandiosa, lo ammetterete. Tutto ciò ha preso il via, è così, dal semplice gesto di tracciare grafismi, scarabocchi (scribble in inglese), proprio come è avvenuto anche ad ognuno di noi da bambini quando ci siamo ritrovati tra le mani un pastello. Non dimenticatelo mai. 

Dalle pitture nelle grotte alle tacche incise sulle ossa, questi segni si sono rivelati sin da principio una pratica utilissima per prendere nota di qualcosa: qualcosa che si è visto, oppure un pensiero, un’indicazione, una fantasia, persino un desiderio. Segnarlo, fissarlo, per non farlo fuggire via. Prenderlo, catturarlo. Take note. All’inizio, è indubitabile, deve essere sembrata magia. Il segno infatti, al contrario della voce, non scompare ma resta (…, scripta manent). Ci si può persino inginocchiare davanti a un segno, lo sappiamo. E, cosa fondamentale, lo si può lasciare al Futuro. 30.000 anni fa le informazioni veicolate da segni tracciati potevano essere l’appartenenza a una tribù o a un clan, sentieri in un bosco, pericoli, visioni sciamaniche, preghiere, narrazioni mitologiche, figure animali, o il ritorno periodico di lune piene e costellazioni. Potevano anche segnare la propria presenza o il passaggio in un luogo, come ancora fanno le scritte del tipo ‘Kilroy was here’ o le stesse tags autografe di oggi. Prendere nota di sé e del mondo. Appuntare, segnare, identificare, mappare. Lasciare tracce, e usare le tracce come guida. Ecco a cosa servono i segni sin da principio. Take note. Persino la Scienza sarebbe presto venuta fuori da tutto questo, matematica e tutto il resto. Mica male per dei semplici scarabocchi, che ne dite? 

‘Nota’ è una parola che viene dal greco gnotos, che significa ‘noto’, ‘conosciuto’, da cui anche il verbo latino gnoscere, ‘conoscere’. Il segno è stato infatti prima di tutto l’inizio di una nuova forma di consapevolezza. Lasciare segni, una meravigliosa strategia di orientamento, comunicazione e accumulo di conoscenza. In fondo se ci pensate anche altri animali lo fanno, ma quasi di sicuro per tutto questo urinare in giro come i cani non ci sarebbe bastato affatto. E nemmeno avere una lingua orale ci sarebbe bastato, eh no. Abbiamo avuto bisogno di tracciare segni. Come ora, guardate. E come vedrete visitando questa mostra, che si intitola a questo riguardo Take note

Da alcuni decenni a questa parte, graffiti e street art sono un fenomeno che ha rivoluzionato l’uso del segno e della comunicazione visiva, e ci ha meravigliosamente riportati all’inizio della nostra storia. Ai grafismi. Ai pittogrammi. Ai muri. Non sulla carta, non sul web o per televisione, questa rivoluzione è iniziata sui muri, e ha generato un linguaggio potentissimo in grado di condurre scrittura e immaginario al loro più grande potenziale: quello di generare consapevolezza e facoltà di autodeterminazione culturale. Libertà insomma. Oggi che tutti sappiamo leggere e scrivere diamo per scontate la scrittura e la cultura (e certamente anche la Libertà). Ma già con i primi sistemi codificati conosciuti, come i geroglifici egizi e il cuneiforme sumero, la scrittura divenne un esclusivo strumento di dominio (normativo, amministrativo, culturale, ideologico,…), una conoscenza riservata alle classi dominanti e alle loro istituzioni di potere. È stato così per circa 5 millenni. 5000 anni signori e signore, eh già. Prendete nota. 

Solo dalla seconda metà del 20º secolo l’uso della scrittura e l’accesso alla cultura sono divenuti qualcosa alla portata di tutti grazie a istruzione e alfabetizzazione, e ciò ha condotto a fenomeni di emancipazione e consapevolezza culturale che hanno cambiato radicalmente la società umana. Dagli anni ‘60 in poi le cose sono tumultuosamente cambiate un bel po’, lo ammetterete. In mezzo a questo fermento, all’inizio degli anni ‘70, sono nati anche i graffiti, un fenomeno sin da principio legato ad un desiderio di liberazione ed emancipazione culturale ancora sentitissimo oggigiorno un po’ in tutte le società moderne e in particolare nella nostra, architettata com’è su dominio mass-mediatico e diseguaglianza sociale. 

Per raggiungere questo tipo di Libertà, e perché questa Libertà resista nel tempo, abbiamo avuto bisogno di tracciare segni, di scrivere. Ecco perché i graffiti sono importanti oggi, e perché sono illegali. Oggi che viviamo in una società sempre più sorvegliante, manipolatrice ed algoritmica, beh se tenete alla Libertà dovreste apprezzare con tutto il cuore un fenomeno come quello di graffiti e street art. Dovreste. In ogni caso, prendete nota per la prossima volta che vi ritroverete davanti ad un muro vandalizzato. 

Take note

 SABOTA / dicembre 2022

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