Pomeriggio di giovedì 9 ottobre. Sono fermo al semaforo del cantiere dei Tre Ponti e non c’è nessuno che lavora. Ci credo poi che i lavori e relativi disagi per chi passa di lì durino in eterno. Ma a voi sembra normale? E’ l’intervento di un lettore e assieme a quelli analoghi di altri cittadini riporta alla ribalta i problemi legati al cantiere dei lavori sulla Statale 34 tra Suna e Fondotoce con le conseguenti limitazioni al traffico per il senso unico alternato e inevitabili disagi. Ancora una volta non si tratta di mettere iun discussione la necessità dell’intervento per motivi di sicurezza, quanto invece le modalità in cui procedono i lavori. Qualche tempo fa avevamo pubblicato l’intervento di un lettore il quale notava che nei momenti di maggior traffico in una direzione o nell’altra i semafori nella loro tempistica non tengono alcun conto dei flussi estremamente diversi nelle opposte direzioni, per cui da un lato si vedono code interminabili che vanno continuamente allungandosi e dalle quali si assiste sul lato opposto all’arrivo di poche o addirittura nessuna auto. Suggeriva pertanto di regolare in modo logico tali tempistiche con indubbio vantaggio rendendo il traffico più fluido e alleggerendo le code e i problemi che ne derivano. Si era risposto che tali modifiche erano impossibili, ma la discussione continua e altri replicano che invece si potrebbe provvedere con la semplice applicazione di uno strumento immediatamente reperibile con una minima spesa. Si tratterebbe insomma solo di volontà. E le discussioni continuano….


lavori inutili, in quanto non sta certo cadendo la montagna: a volte cade qualche sasso? pazienza, lo si toglierà: ormai, in tante cose, c’è un eccesso di prudenza, di paura e di sicurezza, dimenticando che l’unica sicurezza che abbiamo è di dover morire….
Guardiamo in faccia la realtà: l’automobile è una trappola. In città e fuori finiamo prigionieri di code, semafori e cantieri. Basta un cantiere sulla statale per mostrare l’incapacità di un sistema tutto centrato sull’auto privata.
Si possono regolare i tempi dei semafori, coordinare i cantieri, ma è necessario ripensare la mobilità, cambiare paradigma: lasciamo l’auto in garage e compriamo una bicicletta elettrica.
La bicicletta elettrica non è un vezzo, è un atto civico quotidiano. Ristabilisce equità: a 25 km/h la città si misura in persone, non in ammassi metallici. È la velocità della vita vissuta, quella che rende accessibili scuole, lavori e negozi senza divorare minuti nelle file. Spesso, a Verbania, andare in auto è più lento che pedalare: il paradosso è evidente, eppure si persevera.
I bus, prigionieri della litoranea, sono il simbolo della nostra follia: quando la strada è pensata per l’auto, tutto il resto soccombe. Trasporto pubblico in ritardo, ciclisti esposti, pedoni costretti a marciare tra parcheggi selvaggi. Se vogliamo respirare, dobbiamo invertire la gerarchia della mobilità: pedoni, biciclette, trasporto pubblico; automobili dopo.
Imporre la bicicletta significa progettare la città per le persone: piste sicure e continue, postazioni di ricarica, parcheggi protetti, incentivi veri per chi abbandona l’auto. Non è ideologia, è pragmatismo: meno traffico, meno inquinamento, economie locali più vive, nuovi lavori nella mobilità dolce.
Le obiezioni sulle colline o sul clima cadono davanti all’e-bike: assistenza alla pedalata, autonomia reale, facile per giovani e anziani. Ogni auto in meno restituisce tempo e salute alla collettività.
Mettiamolo in chiaro: bicicletta per muoversi a Verbania. Non come slogan, ma come legge non scritta del buon senso. Chi vuole liberare la città dalla morsa del traffico lo dica, pedali, e basta con le solite chiacchiere.