Settembre 1944 – Aprile 1945 – Cronaca

9,00 – Giornata bella.

Apprendo ora che questa notte alle 3,30 elementi delle B.N. hanno fatto fuoco su una donna che stava andando a prendere il battello e l’hanno uccisa.

10,00 – Particolari su quanto accaduto a Cavandone. Un ragazzo, tale Cobianchi di Suna, è stato fucilato dalle B.N. perché accusato di spionaggio a favore dei Partigiani. Era un militare del corpo speciale di Mussolini.

10,30 – Vengo a sapere che domenica i Partigiani hanno tagliato i capelli a due signorine di lntra, perché collaborazioniste dei fascisti; una di esse presa a Premeno, fu obbligata a scendere fino ad Intra lungo la strada provinciale.

16,30 – Dalle 13,30 e fino a questo momento 2 aerei hanno sorvolato la zona prima verso ovest e poi in senso inverso. Sono stati dati diversi allarmi.

17,00 – Un camion proveniente da Novara con 18 q. di farina è stato fermato dai Partigiani e completamente svuotato del carico.

Secondo voci che circolano, il secondo camion della X sequestrato dai Partigiani, è stato rilasciato con gli uomini che vi erano a sopra. Solo il carico è stato sequestrato.

Questa mattina al Gabbio è stato ucciso un milite.

17,00 – Secondo voci apprese in questo momento oggi pomeriggio deve essere successo uno scontro tra B.N. e Partigiani presso Ghiffa. Otto macchine di soldati di rinforzo sono giunte da Mergozzo. Sono però ritornate verso le 16.

Nelle pagine seguenti trascrivo integralmente il testo di un articolo comparso sul Corriere della Sera di ieri 5 Aprile. Parla dei Partigiani che avevano occupato l’Ossola nel 1944.

Non tutti i particolari ivi scritti sono esatti. Molti sono esagerati o addirittura inventati di sana pianta.

Questi fatti potendo essere descritti da testimoni oculari, da chi ha vissuto proprio in quei giorni, in quelle zone occupate, non corrispondono a quanto scritto dal giornale. Dal”Corriere della Sera” di giovedì 5 Aprile 1945:

IL MOVIMENTO PARTIGIANO

Anche in questo campo Londra non va d’accordo con Mosca. Profondi contrasti di idee e sanguinosi conflitti tra le bande.

Quartier Generale 4 Aprile.

La maggior parte di coloro che hanno sentito parlare dei ribelli annidati sulle montagne o nascosti nelle città pensano che il movimento partigiano sia un’azione ispirata, unitaria e che si prefigga un’unica meta: la lotta contro il fascismo. Raramente si è parlato di contrasti tra partigiani di diversa opinione politica e di combattimenti fra bande. In realtà i contrasti sono molto più gravi di quanto comunemente si creda e gli scontri quasi inevitabili quando gruppi di partigiani di diverso colore vengono a contrasto fra loro.

Un corrispondente di guerra dell’agenzia Stefani, che ha partecipato al ciclo operativo nell’Ossola dall’Ottobre 1944 al Marzo del 1945 della Brigata nera speciale di formazione, ha raccolto dalla viva voce dei ribelli fatti prigionieri e dalle popolazioni che per 34 giorni godettero le gioie della “liberazione” partigiana, alcuni dati che è bene far conoscere per dissipare le illusioni di coloro che ancora si ostinano a vedere un’aureola di romanticismo attorno ai componenti delle Brigate D’Assalto Garibaldi.

E’ molto difficile riconoscere nel caos delle ideologie di marca straniera e male assimilate dai “Patrioti”, delle discordanti fedi politiche rese simili soltanto dal comune denominatore di una purezza molto dubbia, delle azioni palesemente guidate da interessi contrastanti, quali fossero le intenzioni dei ‘’patrioti’’ che alla fine dell’estate 1944 costituirono a Domodossola una ‘’giunta provvisoria di governo” i cui componenti varcarono ingloriosamente il confine svizzero all’avvicinarsi delle truppe italo germaniche.

Oltre a numerosi nuclei sostanzialmente autonomi e dediti più al furto ed alla rapina che ad una attività militare vera e propria i ribelli dell’Ossola erano divisi in tre gruppi: azzurri, verdi e rossi. Fazzoletto e maglione azzurro distinguevano i Badogliani, i quali privi di ogni motivo ideale e sostenuti dall’oro angloamericano attendevano semplicemente l’arrivo degli inglesi per sfruttare convenientemente la situazione. I partigiani che si fregiavano del fazzoletto verde avevano un programma molto semplice nell’annunciazione: cacciare i fascisti e i tedeschi dall’Italia e successivamente combattere contro gli Anglo Americani. Essi non spiegavano però come avrebbero realizzato sul terreno militare questo programma. Più importante è la posizione degli uomini delle “Brigate d’assalto Garibaldi” di Moscatelli.

Queste erano sorte in origine con intendimenti e ideali nettamente comunisti ma i capi del movimento sono stati successivamente costretti a fare ufficialmente marcia indietro e molta acqua è stata gettata sulla fiamma del comunismo puro. Come in Polonia, nella Jugoslavia, in Bulgaria, in Grecia e nell’Italia invasa così, in piccolo, anche nella zona “liberata” dell’Ossola, nettissimo si è manifestato il contrasto fra la volontà di Londra e quella di Mosca.

Inefficaci si sono rivelati tutti i tentativi di giungere ad un compromesso e fra comunisti e badogliani la lotta continua tuttora I vari comitati di liberazione nazionale, che ricevono ordini dal Governo Bonomi, e, quindi, da Londra, hanno vietato la formazione di bande ad unico indirizzo politico: in ogni banda debbono trovare posto gli appartenenti a qualsiasi partito purché antifascisti. In pratica però le varie bande hanno un colore ben definito, né gli ordini impartiti in proposito dai comitati di liberazione sono stati mai eseguiti, e con scarso successo Moscatelli, il quale rivestiva la carica di commissario politico delle “Brigate Garibaldi”, cercò di

mascherare il carattere comunista dei suoi uomini. Più volte egli dovette punire partigiani che si fregiavano della falce e martello o della stella rossa. Gli inglesi dimostravano, del resto, di diffidare anche Moscatelli, educato in Russia, ove fra il 1930 ed il 1934, aveva frequentato l’accademia militare di Mosca. I partigiani di tutti i partiti in una cosa erano d’accordo: nello spogliare la popolazione civile. Inutile dire che nei 34 giorni della “Libertà” nell’Ossola non furono distribuiti generi alimentari e gli abitanti della regione dovettero vivere come potevano. In tutta l’Ossola in questo periodo non fu distribuita una sola razione di pane e, mentre la popolazione soffriva la fame, nel senso letterale della parola, i “liberatori” sprecavano o distruggevano quello che non riuscivano a consumare. Centinaia di testimoni assistettero impotenti, ad esempio, a quanto avvenne a Macugnaga, nella Valle Anzasca. I partigiani avevano requisito, fra l’altro, tutto il formaggio della zona, nella quale la produzione era, in tempi normali, abbastanza rilevante. Non riuscendo a consumare l’intero quantitativo, piuttosto che permettere che una parte di esso fosse distribuita alla popolazione, i ribelli, dopo averlo spaccato a colpi di baionetta, gettarono tutto il formaggio loro rimasto nell’ Anza. Lo stesso avvenne per gli altri generi alimentari. Le rapine furono determinate, talvolta, anche dal mancato invio dei rifornimenti da parte degli Inglesi, sui quali i partigiani avevano fatto assegnamento. I Britannici furono larghi di parole, specialmente verso i Badogliani, ma i promessi aiuti non furono mai concessi. Essi ordinano anche che fosse allestito un campo di aviazione nei pressi di Domodossola, per il lancio di paracadute con materiali, ma su questo campo non atterro mai un solo aereo, ne vi fu lanciato un solo kg di rifornimenti. Ufficiali inglesi furono invece inviati fra i partigiani allo scopo di sorvegliare i movimenti e di guidarne le azioni. I partigiani dimostrarono di non gradire troppo la presenza degli ufficiali britannici, e in taluni casi non esitarono a sbarazzarsene. Così, ad esempio, ai primi del Settembre 1944 due ufficiali inglesi che si trovavano nella valle Anzasca furono accompagnati in Svizzera senza scarpe. Partiti con una scorta di partigiani da un paesetto a est del Monte Rosa, essi dovevano raggiungere la Svizzera attraverso il passo del Moro. I due ufficiali non giunsero mai al confine.

L’opinione che gli Anglo-Americani avevano dei ribelli non era affatto lusinghiera, né essi si curavano di nasconderla, inasprendo sempre più, specialmente fra i comunisti, l’odio per gli Anglosassoni e , di riflesso, per i badogliani da essi sostenuti.

Sintomatico è, a questo riguardo, l’episodio svoltosi nella prima meta dell’Ottobre 1944 in una sala dell’albergo Milano, a Borca di Macugnaga, ove un sergente nordamericano, certo Jenkina, circondato da un numeroso gruppo di ribelli, non esitò a manifestare la propria opinione sul movimento partigiano.

Jenkina, elemento intelligente e fornito di una buona cultura parlava fra l’altro parecchie lingue; già fatto prigioniero in Africa Settentrionale, era evaso da un campo di concentramento e si era rifugiato in Svizzera. Successivamente era stato condannato dai tribunali Svizzeri a scontare una pena per aver malmenato un cittadino svizzero e, riuscito a fuggire dal carcere, aveva varcato il confine unendosi ai partigiani. L’Americano senza che alcuni dei presenti osasse protestare, affermò: “Comandanti partigiani pensare solo automobili, donne, feste. A combattere mandare altri. Se morire partigiano, buttare via. Comandanti pensare solo a vestirsi.”

Di Comandanti, fra i partigiani, ve n’erano in quantità. Un “battaglione” spesso non più di una ventina di uomini e che si divideva in squadre agli ordini di capisquadra, aveva un comandante, un vice comandante, un commissario politico, un commissario civile amministrativo. Più battaglioni formavano una brigata, più brigate, una divisione, che poteva essere composta di poche centinaia di uomini. Le divise erano svariatissime, quando esistevano.

La molteplicità dei capi aumentava la confusione e la rivalità fra le varie bande, già gravi di per se stesse a causa delle divergenze politiche, venivano rinfocolate da odi personali. Neppure fra i partigiani dello stesso partito, regnava buon accordo.

Quando Moscatelli, ad esempio, dalla Val Sesia inviò due ufficiali comunisti ad assumere il controllo delle miniere d’oro di Pestarena i due furono immediatamente uccisi dai partigiani, pure comunisti, che si erano già impadroniti della valle.

Un incontro tra comunisti e badogliani dava quasi sempre origine a una sparatoria e pressoché inefficaci erano le delimitazioni territoriali stabilite dai capi, poiché spesso elementi dell’una o della altra fazione superavano i limiti loro fissati, impegnando combattimento con i ‘’patrioti’’ di un’altra banda. Un uomo che da un partito passava all’altro era considerato un traditore ed in conseguenza condannato a morte. Episodi del genere si sono verificati più volte. Tipico, poiché serve a caratterizzare anche la lealtà ed il senso dell’onore di cui erano dotati i partigiani, è il caso del comandante Tagliamacco. Costui, nell’autunno 1944 era a capo del presidio comunista di Staffa, pure nella valle Anzasca. Un giorno, per motivi ignoti, ai quali non era forse estraneo l’oro degli emissari di Londra, Tagliamacco, con la maggior parte dei suoi, si fece badogliano. Appresa la notizia, una colonna di partigiani comunisti mosse su Staffa per punire il traditore. Tagliamacco ed i suoi furono costretti ad abbandonare il paese di fronte alla preponderanza numerica degli avversari. Durante l’inseguimento sembrò ad un certo punto che i comunisti stessero per raggiungere i fuggiaschi. Gli uomini di Tagliamacco allora senza pensarci due volte, e soddisfatti anzi di aver trovato modo di salvare la pelle, disarmarono il loro capo e lo invitarono a mettersi contro una roccia. lI loro piano a quanto ha riferito un partigiano unitosi poi ad altra banda, successivamente fatto prigioniero, era semplicissimo: se fossero stati raggiunti avrebbero fucilato Tagliamacco e si sarebbero presentati ai loro ex-compagni dicendo di essere stati trascinati ed addossando al capo ogni responsabilità. La notte invece fece sì che la banda di Tagliamacco sfuggisse agli inseguitori.

Braccati ed inseguiti senza posa, i neobadogliani decisero tuttavia, dopo qualche tempo di gettare le armi e di presentarsi al confine svizzero per essere internati. Alla frontiera li attendeva però una strana sorpresa: non avendo più le armi furono considerati dalle autorità elvetiche come civili e quindi essendo privi di passaporto fu loro impedito di entrare nella Confederazione.

La banda di Tagliamacco finì così ingloriosamente: da lì il “si salvi chi può”, i suoi componenti si sbandarono,

cercando di raggiungere le proprie case o di aggregarsi ad altre bande amiche.

Quando si giungeva alla conclusione di un patto, esso raramente veniva rispettato. Cosi accadde ad esempio nell’Ottobre 1944 quando partigiani di più colori politici si accordarono per dare l’assalto al presidio fascista di Gravellona. AI momento decisivo i “verdi” defezionarono ed i 1500-2000 partigiani comunisti rimasti soli, non riuscirono a conquistare il paese difeso da una sola compagnia del battaglione “M” Venezia Giulia.

La scarsa simpatia per il combattimento a viso aperto è infatti un’altra caratteristica dei “garibaldini”. Essi preferiscono vivere saccheggiando e spogliando le popolazioni e uccidendo chi è sospetto di nutrire sentimenti di fede nella rinascita delfa patria.

Quando debbono combattere, ricorrono all’imboscata ed affrontano il combattimento a viso aperto solo quando sono largamente superiori di numero e di armamento. Durante un’azione centotrenta squadristi della Brigata Nera speciale furono dislocati in tredici paesetti della Valle Strona, dieci per ogni villaggio. Circa 1500 partigiani di una banda badogliana, guidati da un ex-ufficiale dell’esercito regio, che si trovavano sui monti che dominavano la valle e l’unica strada percorsa dai legionari, e superiori anche di armamento, non osarono attaccare gli uomini della brigata nera, affermò più tardi un componente della banda catturato da un reparto della stessa brigata, in risposta ad una domanda rivoltagli dal corrispondente di guerra dell’agenzia Stefani: avevano paura che vi potessero arrivare rinforzi.

Di fronte a questo atteggiamento di coloro che osano ricollegarsi alla tradizione della Camicia Rossa, sta il sereno eroismo dei soldati di Mussolini, senza distinzione di reparto o specialità, che si battono per restituire la tranquillità e la pace alle zone del territorio della Patria devastato dai fuorilegge; l’eroismo dei martiri che sono morti riaffermando la loro fede nell’Italia e nel Duce; di coloro che hanno resistito fino all’ultima goccia di sangue senza cedere ed hanno preferito morire piuttosto che arrendersi dei dodici della confinaria di Cannobio, che per un giorno e mezzo tennero testa ad un centinaio di ribelli prima di esaurire le munizioni e che, catturati affrontarono serenamente la morte; dell’ufficiale della Brigata Nera che, ferito e fatto prigioniero, prima di essere fucilato scriveva ancora ai suoi camerati: Fate il vostro dovere, la mia vita non conta.

§416 · aprile 6, 2015 · Senza categoria · · [Print]

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