ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE IN SCENA AL MAGGIORE

ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE IN SCENA AL MAGGIORE
La stagione teatrale de Il Maggiore prosegue con la messa in scena martedì 5 marzo alle  ore 21 di  “Assassinio nella cattedrale” di Thomas Stearns Eliot con Moni Ovadia e Marianella Bargilli per la regia di Guglielmo Ferro. Con Agostino Zumbo, Alice Ferlito, Viola Lucio, Rosario Minardi, Pietro Barbaro, Giampaolo Romania, Giovanni Arezzo, Plinio Milazzo, Giuseppe Parisi; produzione Centro Teatrale Bresciano, Progetto Teatrando Catania. Spettacolo in collaborazione con Fondazione Piemonte dal vivo.

Siamo nella Cattedrale di Canterbury, 2 dicembre 1170. Sono gli ultimi giorni dell’Arcivescovo Thomas Becket, di ritorno dalla sua permanenza in Francia durata sette anni. Il pericolo derivante dall’accrescimento del potere temporale della monarchia è l’argomento di discussione dei suoi sacerdoti al momento del suo arrivo e Becket stesso, giunto nella Cattedrale, esprime con rassegnazione la consapevolezza di andare incontro al martirio. Nell’interludio tra I e II atto, che corrisponde temporalmente alla mattina di Natale, Becket tiene un lungo sermone sul tema, con allusioni alla morte che sente oramai imminente. Nella seconda parte del dramma, che si apre il 29 dicembre 1170, infatti, quattro cavalieri del re si recano dall’Arcivescovo e lo accusano di tradimento, suggerendogli di fuggire. Becket rifiuta e ribadisce di essere disposto a morire. Il dramma termina con i quattro cavalieri che tornano una seconda volta nella cattedrale e uccidono l’Arcivescovo, affermando la necessità di quell’azione per impedire alla Chiesa di minare la stabilità del potere dello Stato.

Mai come oggi, il capolavoro di Eliot rappresenta una testimonianza senza tempo sul rapporto fra opposti, nel cuore della civiltà occidentale: Potere Temporale e Potere Spirituale, Ragione e Fede, Individuo e Stato. Libertà e Costrizione, scrive nelle sue note di regia Guglielmo Ferro. E aggiunge:   Nella vicenda così complessa (e di difficilissima analisi storica) fra Edoardo II e colui che sarà – alla fine di un percorso politico e personale complicato e sofferto – Arcivescovo di Canterbury leggiamo il dramma e l’esizialità delle scelte che oggi si compiono davanti ai nostri occhi. Di più: vi leggiamo lo iato fra la micro e la macro Storia; fra la grande vicenda dell’Umanità e la vicenda privata, piccola – a volte inutile, quasi sempre insignificante – di ciascuno di noi. Persino nella nebulosità dei sicari, materialmente difficili da ricondurre con certezza alla responsabilità di Edoardo quale mandante certo, leggiamo l’ambiguità del Potere e del suo Sistema nel rapporto con gli individui: manipolatorio, ricattatorio, inafferrabile. In questa ambiguità di fondo, sembrano rispecchiarsi tutte quelle precedenti e quelle a seguire: dalla “conferenza di Wansee” all’ “Irangate”. Una costante dell’infingimento, della manipolazione – appunto – del Sistema, che indirizza i destini di interi popoli senza – apparentemente – esercitare coercizione, ma, anzi, promuovendo libertà e democrazia. Non a caso, rappresentato nel ’35 proprio nei luoghi della vicenda reale, il dramma sembra raccontare più l’ascesa e il pericolo del nazismo, che le vicende dei Plantageneti. Oggi, il nostro allestimento, la nostra versione del dramma, mira appunto a questa “trasversalità” storica; a questa “atemporalità”, orientata a togliere la matrice specifica a questo conflitto, restituendola a una dimensione più generalmente estesa. Una rotta precisa, un percorso fatto di convincimenti profondi. Una scelta confermata anche dalla presenza del Maestro di Teatro Civile più genuino che il nostro Paese esprime in questo momento: Moni Ovadia. Artista, attore, “cantore dell’impegno”, che – anche – nella sua appartenenza alla cultura “yddish”, suggerisce una polifonia di linguaggi e istanze antropologiche, oltre che storiche, civili e sociali.

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