COS’E’ L’AMICIZIA?

COS’E’ L’AMICIZIA?

Era una di quelle sere in cui ti senti molle dentro. Chi va in montagna mi ha capito al volo. Questa sensazione ti salta addosso a tradimento dopo una lunga giornata di cammino che hai trascorso gettando lo sguardo oltre i lontani monti, parlando poco e sentendo tutti i silenzi che ti avvolgono, facendoti scoppiare il cuore con il loro fragore. E senza un motivo apparente gli occhi si riempiono di lacrime, che magari appena nate muoiono, diventando aghi di ghiaccio per il gelido vento che soffia in pieno viso. Meglio così, gli uomini duri, dicono, non piangono mai. Ma io forse non sono un uomo duro, forse sono solo un uomo, il che, di questi tempi, già non è cosa da poco.

Cielo azzurro, lago immenso blu, Intra amata e colpevolmente abbandonata in anni lontani che giace quasi abbandonata ai miei piedi, mi fai l’occhiolino paese caro, mi tenti con l’azzurra cupola del San Vittore, mi ammali con la bianca colonna del porto vecchio, non mi hai dimenticato, ne sono certo, nessuna madre può dimenticare i propri figli, figuriamoci tu: un giorno tornerò da te, e mi fermerò magari per sempre là, un poco in periferia, dove i rumori giungono smorzati e la città sembra rammentarsi ancora del suo recente passato di paese; non ti disturberò troppo, paese amato, mi basterà un angolino in fondo a quel lungo viale alberato che percorsi a piedi a cinque anni, accompagnando mio nonno a riposare per sempre.

Oggi sono salito da solo fin sul pizzo Marona perché al sottostante rifugio del pian Cavallone c’è la castagnata di fine stagione e per l’occasione sono convenute più persone che castagne e non è che io sia contro la gente, ma una cosa bella non mi piace condividerla in troppi, come se avessi paura che poi alla fine non ne resterebbe abbastanza per me, in quanto sembra che con l’età si diventi anche egoisti, tra gli altri difetti che ti piovono tra capo e collo; ma con gli amici invece è un’altra cosa. 

“Dai torna dopo, quando sono andati via tutti, così cacciamo due balle in santa pace, vedi bene come sono incasinato adesso” – mi disse Tiziano, il gestore del rifugio, indaffaratissimo a saltare da un avventore all’altro, quando mi vide arrivare la mattina sbucando sereno come un cherubino dal lungo sentiero di cresta che scende dal pizzo Pernice. Pazza idea andare a trovarlo in rifugio il giorno della castagnata, ma oggi il mio amico chiude baracca e burattini e non c’erano alternative.

E così seguo il suo invito, zaino in spalla mi rimetto in cammino e, promettendogli di fermarmi al ri-fugio al ritorno per un veloce saluto ed un abbraccio, salgo solo soletto sul pizzo Marona, sulla cui cima fortunatamente la gente inizia a diventare merce rara, perché la salita non è poi una passeggiata così rilassante. Lì giunto, osservo con grande piacere ed emozione, riconoscendone ogni cima, la lunga ed aspra catena che dalla cima Sasso porta al pizzo Laurasca, interrotta al centro dalla nera bastionata del monte Pédum, groviglio di rocce che si proiettano verso il cielo, montagna ammaliatrice ma da guardare con rispetto. Generazioni di alpinisti sono stati stregati da quella cima visibile ovunque in prospettive sempre diverse e sempre affascinanti, messa lì al centro di tante altre vette certamente dalla mano esperta di un grande pittore, terminale naturale di cento valli, che sembrano inchinarsi rispettose e timorose ai suoi piedi. Quando si raggiunge una cima, la prima cosa che si fa è cercare il Pédum, certi di trovarlo, sempre eguale eppure sempre così diverso, inconfondibile. Un punto fermo, un baricentro, una certezza. Ci fosse anche nella nostra vita!

Ed eccomi di ritorno al rifugio, come avevo promesso, sono quasi le cinque e la sera ha una gran voglia di diventare notte: i gitanti sono scesi già tutti a valle per i vari sentieri d’accesso al rifugio. Io mi siedo sul muretto antistante, le gambe penzoloni sul ripido grande prato sottostante, le fac-cio infantilmente dondolare aiutato dai pesanti scarponi e mi chiedo come possa quel lago blu là in fondo diventare rosso fuoco e poi di colpo nero ed Intra iniziare a brillare di mille luci ed ecco che ti senti all’improvviso molle dentro e vorresti fermare il tempo, ma il tempo passa e va, come diceva una famosa canzonetta. Molle, Dio come sono molle questa sera. 

“Ah sei qui” – mi dice con tono di rimprovero Carmen, affacciatasi sull’uscio con una scopa in mano. “Tiziano pensava che te la fossi svignata”. “No, mi sono solo un poco imbambolato qui a guardare giù. Come se fosse la prima volta… ma penso sempre più spesso che possa essere l’ultima e ripasso la lezione, non si sa mai, tanto per avere qualcosa da ricordare quando mi spunteranno due alucce”. 

“Non dire cazzate e vieni dentro” – mi dice Tiziano perentorio, anche lui affacciatosi sull’uscio. “Viene buio, devo rientrare, anche se potrei tornare giù ad occhi chiusi con il pilota automatico, tante sono le volte che sono venuto fin quassù” – rispondo io, sempre più debolmente. “Dai entra un attimo, un bicchiere solo” – conclude il Tiziano che ha già la bottiglia in mano ed entra senza attendere la risposta, perché l’ha letta nei miei occhi, mentre Carmen, sorridente ed affettuosa, mi prende sottobraccio e mi sospinge all’interno.

Cos’è l’amicizia? Anche solo un invito a bere un bicchiere quando il sole della tua vita tramonta in un rifugio di montagna, meglio se poi è quello del Pian Cavallone, ed il cuore si allarga così.

Liborio Rinaldi

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