La stagione teatrale del Maggiore prosegue con I dialoghi della Vagina, in programma venerdì 23 febbraio alle ore 21. Una commedia dove l’interazione con il pubblico abbatte non solo la quarta parete, ma anche tabù e luoghi comuni legati all’universo femminile. L’irresistibile capacità delle attrici di raccontare e raccontarsi, regala allo spettatore una performance esilarante e molti spunti di riflessione. Lo spettacolo, prodotto da Teatro al Femminile in collaborazione con Torino Città delle donne, è scritto e diretto dalla pluripremiata Virginia Risso, artista poliedrica nel panorama teatrale italiano; in scena, insieme all’autrice, c’è Gaia Contrafatto, pure collaboratrice storica di Teatro al Femminile. A fare da sfondo, le opere della pittrice russa Elena Romanovskaya. Questa collaborazione dimostra tre dei principi saldi di Teatro al Femminile: inclusione, condivisione e creazione.
Sabato 24 febbraio terzo appuntamento con la stagione teatrale Lampi sul loggione allo spazio S.Anna che propone Pigmalione con Giacomo Ferraù, produzione Eco di Fondo di Milano. Lo spettacolo è in abbonamento, alcuni biglietti sono disponibili a € 20 sul sito di Lampi sul Loggione. Per il mito di Pigmalione, bisogna rispolverare le Metamorfosi di Ovidio, dove si parla di uno scultore di Cipro che aveva modellato nell’avorio un nudo femminile. Traendo spunto dalla vicenda del personaggio ovidiano e dal rapporto amoroso che si instaura tra l’artista e l’opera, Ferraù, mette in scena un testo che affronta la tematica assai complessa della distorsione che l’arte può applicare alla realtà. Regia e drammaturgia sono dello stesso interprete e di Giulia Viana. Il monologo si basa sulla vita di Kurt Gerron, attore e regista cinematografico a cavallo fra le due guerre, che morì ad Auschwitz, una volta concluso lo spettacolo più bello del mondo. Infatti il regime nazista aveva chiesto al regista, durante la sua detenzione al campo di concentramento di Theresienstadt, una messinscena alla quale parteciparono come comparse gli stessi ebrei detenuti. L’obiettivo era creare, in occasione dei controlli della Croce Rossa, un’immagine posticcia di Terezin come luogo felice. Gerron realizzò quindi il documentario Theresienstadt.