Il Palazzo Franzosini di piazza Teatro di Intra

Il Palazzo Franzosini di piazza Teatro di Intra

Io sono nato in Sassonia, nella piazza Teatro; è però dagli anni 60 del secolo scorso che il Teatro, realizzato nel 1847 da Giulio Aluisetti, progettista tra l’altro dell’ospedale Fatebenesorelle e del Cimitero Monumentale di Milano, non c’è più. Per la verità la piazza non s’è nemmeno mai chiamata ufficialmente piazza Teatro, quindi io sono nato in una piazza che non è mai stata intitolata ad un teatro che non c’è, forse non sono mai nato nemmeno io.

Tra l’altro la piazza all’origine non era una piazza, bensì un fiume, anzi… una Fiumetta. Infatti un ramo del torrente San Bernardino, il Fiume per antonomasia, prima di sfociare nel lago passava proprio di lì. Nei primi decenni del 1800 Intra cresceva impetuosa, si sviluppavano industrie e opifici, anche grazie ad illuminati ed operosi svizzeri tedeschi, quali i Weiss, i Müller, i Sutermeister, i Tobler (tra l’altro, miei tris-nonni), imprese che avevano necessità di spazi vitali, ed  allora venne realizzato un argine per rettificare il corso del torrente nel suo tratto terminale, facendogli cedere spazio prezioso alla cittadina; l’argine sarebbe poi crollato più volte ed il fiume si sarebbe riappropriato del suo corso naturale, allagando rovinosamente tutto il quartiere, riempiendolo di sassi, e denominato forse per questo Sassonia. 

Sulla destra del Teatro v’era, e v’è tuttora, il “Palazzo Franzosini”, ideato nel 1837 e terminato nel 1847 contestualmente al Teatro, delle cui complesse vicende burocratiche e proprietarie esentiamo il lettore. Io nacqui al secondo dei cinque piani del suddetto palazzo, ma sul portone non c’è colpevolmente nessuna targa che lo ricordi.

Essendo allora il caseggiato il più alto di Intra ed essendo dotato di una grande corte acciottolata, oggi trasformata in periferica confusa strada di passaggio, la domenica mattina, fino alla metà degli anni 1950, arrivavano da Pallanza (anzi, dal quartiere di Sant’Anna, per la precisione) i vigili del fuoco per fare delle esercitazioni, davanti ad una piccola folla che accorreva per assistere ammirata ed incuriosita. Con destrezza i pompieri montavano nel cortile interno le scale una sopra l’altra fino a raggiungere l’ultimo piano del caseggiato tra gli applausi dei convenuti. Durante il ventennio, il pompiere che giungeva sulla sommità doveva fare il saluto romano inneggiando al Duce.

Periodicamente nella stessa corte a turno arrivava di tutto: l’arrotino, con la sua mola a bicicletta, il lanaiolo con lo scardasso, il vinaiolo per pulire l’interno delle bottiglie di vetro col raschietto metallico, l’ombrellaio e altri artigiani di varia natura. La corte (una vera corte dei miracoli) si affollava sempre di perdigiorno (gli “omarell” ante-litteram), di massaie e di bambini. Era una grande occasione comunitaria di festa e di scambio di notizie (altro che i social!) tra le madri e di grandi ceffoni per noi “bocia” quando ci avvicinavamo troppo alle bambine facendo i “bamba”, magari sfiorandole con le biciclette rese scoppiettanti come motociclette con una cartolina fissata tra i raggi con una molletta da bucato.

La domenica pomeriggio invece arrivava il custode (a pagamento) delle biciclette di coloro che si recavano ai cinematografi Impero e Sociale, entrambi affacciati sulla piazza che, finita la guerra, da Vittorio Emanuele era divenuta Fratelli Bandiera: famose le due piastrelline rotonde in ceramica numerate, date come contrassegno per riconoscere le biciclette al loro ritiro. La corte si riempiva di velocipedi ed era praticamente inagibile. Stupenda era l’abilità con cui alle 16.45, a cavallo tra il termine del primo spettacolo delle 15 e l’inizio del secondo delle 17, veniva gestito il contestuale ritiro e riconsegna delle biciclette!

Al piano terra del palazzo Franzosini fino al 1948, anno della sua morte, tenne lo studio il pittore Giuseppe Rinaldi (mio nonno), giunto a Intra da Bergamo sull’onda degli scapigliati che affollavano la cittadina di Intra ed il suo entroterra. Successivamente in quegli stessi locali aprì il bar Piras (ora bar Varbano): il proprietario, d’estate, quando il cinema Impero apriva i grandi portoni laterali sulla via La Marmora per arieggiare il locale, invaso dal fumo delle sigarette “Nazionali” da poche lire (tutti al cinema fumavano), affittava ovviamente in nero a buon prezzo delle sedie che, accostate alle grate che chiudevano gli accessi, permettevano di vedere in modo economico, anche se di sguincio, lo spettacolo. Noi ragazzi invece salivamo nel gabinetto comune dell’ultimo piano del nostro bel palazzo Franzosini e dal suo finestrino, attraverso gli oblò aperti della fila dei primi posti del cinema, che erano in alto sulla balconata, potevamo assistere gratis alle proiezioni, con l’inconveniente trascurabile che si riusciva a vedere solo metà schermo ed il problema ben maggiore di dover lasciare la postazione agli inquilini che avessero avuto qualche necessità corporale, magari proprio nel momento topico della proiezione. A volte, al prezzo di qualche figurina di calciatori, ciclisti e attrici, erano accolti anche i ragazzi dei caseggiati vicini, specie quando veniva proiettato qualche film vietato ai famosi minori di 18 anni, che era in quegli anni del 1950 l’età canonica per la maturazione sessuale, che spesso veniva festeggiata nella non lontana Ca’ Rossa di via degli Orti, confine settentrionale della Sassonia, ove finiva la gioventù in un tutt’uno con il quartiere ed Intra stessa.

Ma la Fiumetta, in una delle sue periodiche alluvioni, ha ormai spazzato via tutto ciò, confinando questo mondo rumoroso, popolare, vivo e colorato, in un limbo di ricordi sempre più grigi ed evanescenti. Fra non molto la Fiumetta spazzerà via anche gli ultimi indigeni nativi della Sassonia, trascinandoli insieme alla “büzza” nelle acque dell’amato Lago Maggiore e facendoli sparire per sempre.

Liborio Rinaldi

 

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