NON CHIEDERMI DI DOMANI

NON CHIEDERMI DI DOMANI

NON CHIEDERMI DI DOMANI

Ora doveva riambientarsi, non sarebbe poi stata una cosa così impossibile. La casa di Intra era diventata troppo grande, troppo piena di ricordi, gli era diventata invivibile e aveva deciso di lasciarla; per troncare ancora meglio e definitivamente con il passato aveva trovato un bilocale in posizione centrale nella vicina Pallanza e lì si era trasferito da pochi giorni. Addio azzurra cupola del san Vittore che vedeva ogni mattina aprendo le finestre, ma quante, troppe volte l’aveva vista con lei: quell’immagine gli era diventata insopportabile, troppo dolorosi i ricordi.

Con il cambio di città avrebbe anche cambiato amicizie, ritmi di vita: ora aprendo la finestra vedeva il lungo lago e i battelli che lo attraversavano gli avrebbero fatto compagnia. Via, andare via con loro, lontano, senza meta. Un colpo di spugna sul passato, una seconda vita tutta da inventare.

Entrò nel nuovo supermercato di viale Azari. Doveva imparare di nuovo anche le piccole cose, le cose minute, quotidiane, come fare la spesa: bisognava pur mangiare! Piuttosto svagato cambiò corsia e dal reparto ortaggi entrò deciso in quello dei vini. Doveva orientarsi, ridisegnare mentalmente la mappa del giro degli acquisti. Quella mattina aveva premura, l’intenzione era di fare solo un veloce giro di ambientazione e, nemmeno fosse stato su un autodromo, fece la curva molto stretta e il suo carrello ne urtò con forza un altro che sbucava dalla corsia parallela, aggrovigliandosi quasi con esso in un abbraccio inestricabile, nemmeno fossero stati due amanti da troppo tempo lontani. Spesso il destino lancia messaggi premonitori che non sempre riusciamo a cogliere. Le merci acquistate e accatastate in torri instabili si confusero, cadendo da un carrello all’altro, torre di Babele di mercanzie. Lui alzò gli occhi, pronto a chiedere scusa della sua disattenzione, ma incrociò quelli della donna il cui carrello aveva urtato: non disse nulla, torre di Babele di pensieri.

Si guardarono a lungo, in silenzio, o forse furono solo pochi istanti, spesso un secondo può essere lungo come un’ora e un’ora breve come un secondo, specie quando secondi e ore scandiscono i tempi dell’amore, del lasciarsi e del ritrovarsi e quindi del lasciarsi ancora, forse per sempre, e allora il tempo addirittura si ferma, orologi dai quadranti senza lancette, entrambi lo sapevano bene cosa tutto ciò volesse dire, l’avevano provato sulla loro pelle e non potevano certo averlo dimenticato: ancora troppo fresche le cicatrici che il tempo non riusciva a rimarginare.

Quante volte lui le aveva detto che quando erano insieme le ore scorrevano veloci come secondi e che viceversa i secondi diventavano ore, quando erano lontani? Quando poi la lontananza era diventata separazione, le lancette di tutti gli orologi s’erano fermate, perché lo scorrere del tempo aveva perso ogni significato. 

Lui, da quando la sua clessidra aveva esaurito la sabbia, s’era tagliata la barba che portava da anni, proprio a significare una rottura anche visiva con il passato, un deciso volta pagina, un giro di boa con però un secondo tratto da percorrere senza più significato, con le vele sventate e la barca alla deriva che proseguiva il suo incedere indolente solo perché era stata spinta con grande forza nel primo tratto: lei lo riconobbe subito, come avrebbe potuto essere diversamente?

Anche lui la riconobbe subito, gli bastò per riconoscerla specchiarsi in quegli occhi in cui per mesi aveva annegato la sua vita, nessun salvagente per tenerlo a galla, nessuna boa a cui aggrapparsi, ma solo uno sprofondare giorno dopo giorno in un mare dolcissimo, in acque senza orizzonti increspate da baci e da carezze senza fine.

Del resto erano passati solo due anni dal giorno dell’addio, da quando il freddo sole di gennaio aveva all’improvviso risvegliato in loro la ragione e la consapevolezza dell’andare verso un inesistente domani. Ma le ferite non s’erano rimarginate come avevano immaginato, sperato e come fingevano di credere, dopo che s’erano rituffati nella normalità di due vite separate, non come due corpi distinti, ma come due parti d’uno stesso, tagliato di netto dall’affilata ghigliottina delle convenienze.

Proprio per questo la grande ferita non si poteva rimarginare, talmente era grande, profonda e totale, se poi le lacerazioni sono quelle dell’amore, sanguinano per sempre.

Lei socchiuse le labbra, labbra come una sottile ferita su quel volto sempre un poco esangue, le socchiuse come per emettere un piccolo gemito o forse come per dire qualcosa, ma poi non disse nulla, non riuscì a dire nulla e veramente le parole divennero bisbigli, non molto dissimili dai sussurri ben noti ad entrambi quando erano provocati dai fremiti dell’amore. Lui guardò quel piccolo movimento della bocca, quasi impercettibile, ma non dovette nemmeno faticare troppo per ricordarlo, perché era ben presente in lui e ancora vivo nel suo cuore; quante volte quelle labbra si erano schiuse per lui, appoggiate alle sue, a cercarsi a vicenda, in un sottile gioco di unirsi e di perdersi, per poi ritrovarsi ed allontanarsi di nuovo per rinnovare il piacere di ritoccarsi, leggermente, quasi a sfiorarsi, e poi con forza crescente, profete di un presagio di disperazione, ormai una premonizione di smarrimento.

Anche lui fece per dire qualcosa, ma anche a lui mancarono le parole. Eppure lungo la strada del loro amore di parole ne avevano dette senza fine, avevano vicendevolmente aperto i loro cuori, la loro vita, fino a non avere più segreti l’uno per l’altra, tranne il grande segreto del loro amore, sigillato nei loro cuori, affinché nessuno, vedendolo, lo potesse rubare. Dio, quanto avevano parlato nel buio della notte, stretti in un abbraccio, sussurrando le parole sulle labbra, quasi temendo che la notte avesse potuto carpire i loro bisbigli, oppure su un prato sotto il sole, distesi, come se invece avessero voluto rendere partecipi di questa loro felicità ogni narciso profumato che si reclinava su di loro.

E ora invece non riuscivano a parlare, come se non avessero avuto più nulla da dirsi, ed invece in quei due anni di lontananza quante parole avevano accumulato dentro di loro, senza riuscire a trovare qualcuno su cui poterle riversare.

Lei alla fine, decisa come sempre, prese l’iniziativa e voleva dirgli: “come stai?”, ma invece le parole cambiarono direzione, l’onda dei ricordi prese il sopravvento e le labbra si schiusero in una fessura d’amore e gli chiese con un’antica consuetudine: ”cosa stai pensando?”

A lui sembrò la cosa più normale del mondo che lei gli chiedesse ciò, non si stupì della domanda, perché prima ancora dei loro corpi, avevano unito tutti i loro pensieri e le rispose con un filo di voce: “sto pensando a te, come ieri, come il mese scorso, come uno, due anni fa. Non ho mai smesso di pensarti in tutto questo tempo, lo sai di certo, non potevi di sicuro credere che smettessi. Non ho fatto altro che berti la mattina nel mio caffè, che mangiarti nel mio pane, che dormirti nel mio letto, che piangerti nelle mie lacrime. Amore, mio unico pensiero, giorno e notte, alba e tramonto”.

Lei si rivolse al marito che le era accanto, tutto assorto a scegliere una marca di vino che doveva essere ben particolare e che, concentrato in tale complessa operazione, non aveva notato la cosa grande che stava succedendo attorno a lui. “Caro” – gli disse lei, ma poi si fermò, quella parola era uscita stonata in quel momento, insopportabile, detta di fronte a lui, che caro le era stato veramente per lunghi mesi e che in quel momento si rendeva conto di come lo fosse stato e ora lo fosse ancora di più.

Anche le parole hanno un peso, se l’erano detto tante volte prima d’osare di dirsi che s’amavano, timorosi ed impacciati come due ragazzi o forse ancora più timorosi, consci entrambi del significato delle parole, che non vanno mai sciupate gettandole al vento. Solo le parole pesanti come pietre non vengono disperse dalla brezza mattutina, al risveglio dopo una notte d’amore.

Poi lei proseguì distogliendo il marito dalla ricerca del vino perfetto, chiamandolo per nome – “ho dimenticato di prendere l’olio, andresti nell’altra corsia a cercarlo?” L’uomo, abituato a farla contenta, sorrise e s’allontanò. 

Lui e lei rimasero soli, riprovando quella sensazione che tante volte era entrata loro fin nelle ossa di essere soli pur nel frastuono, di essere soli pur tra la folla, perché il mondo non aveva il diritto di disturbarli, di intromettersi nella loro vita parallela che stavano vivendo. Dio, forse si ricordarono in quel momento entrambi di un lunghissimo bacio che s’erano scambiato sulla passeggiata del lungo lago di Intra con le acque azzurre come mai, sotto un sole caldo come mai, mentre attorno gabbiani stridevano nel vento felici come mai, ad approvare e ad incoraggiare quel loro stare soli tra la gente eppure invisibili a tutti. Forse si ricordarono di quel bacio, perché si sentirono all’improvviso smarriti e vacillanti nelle certezze che avevano cercato di costruire lungo due anni di ricordi, ricordi che pensavano fossero volati lontani da loro e che invece s’erano rincantucciati nell’angolo più segreto del loro cuore, per esplodere poi ad un tratto, non appena i loro occhi s’erano incrociati, facendo deflagrare ogni fragile certezza.

“Vedo che sei accompagnata” – disse lui, allungando le sue mani verso quelle di lei. Non c’era rimprovero, non c’era constatazione, erano solo parole vuote.

“Stai zitto, ti prego” – rispose lei – “o se vuoi parlare, dimmi solo parole d’amore” e allungò le sue mani verso di lui, gesto antico, se le fece prendere o afferrare, lui era avido delle sue mani, come aveva potuto per due anni farne a meno? Se le portò alla bocca, le baciò insaziabile, riscoprendo come vecchie amiche un poco lasciate in disparte dall’imprevedibilità della vita le sue dita una ad una. Poi l’abbracciò con forza ed iniziò ad attrarla verso di sé, ma lei non si faceva tirare, era come se lei gli corresse incontro, come quando scendeva ebbra di vita di corsa da un prato, i capelli smossi dal vento, lo sguardo luminoso ed eccitato, e si buttava poi invitante ed un poco ansimante contro di lui, appoggiando il capo sul suo petto, tana accogliente.

Non fu necessario ricordare i giorni felici, perché i loro corpi si erano conosciuti troppo bene per non ritrovarsi immediatamente, riscoprendo gioia infinita. Lei trovò subito la spalla ove affondare il proprio capo e lì recuperare la pace perduta. Lui abbassò la testa e le sue labbra ripresero a baciarla sul collo, come se non avessero smesso mai. Affondavano le mani nei capelli. Respiri affannosi. Desideri sognati e ad un tempo repressi troppo a lungo. Ritrovarono ogni seno, ogni golfo, ogni verde collina, ogni promontorio, ogni giardino dei propri corpi come se si fossero lasciati un’ora prima o non si fossero lasciati mai ed in effetti, nonostante ciò che si erano ripetuto tutti i giorni per due anni, non s’erano lasciati mai.

Lui insinuò le sue mani sotto la sua camicetta, distese quelle mani, che per troppo tempo aveva tenuto chiuse in un pugno di dolore nelle notti insonni, e con esse le coprì le spalle, salendo e scendendo lungo quella pelle vellutata, leggermente, su e giù senza fine, mentre lei si abbandonava quasi come un corpo morto, scossa da brividi sottili.

Lui la spinse contro la rastrelliera dei vini, qualcosa forse cadde per terra, e la baciò come quando, passeggiando per una strada, spinti da un improvviso desiderio, si rintanavano al riparo di un ombroso portone e lì si baciavano e accarezzavano a lungo.

Qualcuno forse li osservava piuttosto stupefatto, ma a loro nulla importava, erano troppo abituati a rubare l’amore ovunque per preoccuparsi di uno sguardo d’invidia.

Lei si scostò leggermente, alzò il viso verso di lui, gli occhi luccicavano e lui glieli asciugò con un bacio. Poi cercarono di staccarsi, confusi, storditi, ma non riuscivano a sciogliersi da un abbraccio inestricabile, come i rami di due piante che crescono vicine e che si fondono nel tempo una nell’altra e che quando decidono di separarsi non riescono, è troppo tardi per dividere i loro destini, divenuti ormai una cosa sola.

Lui la prese per mano, senza dire una parola, e la condusse fuori dal supermercato. Per una volta, lei si fece guidare, senza nulla obiettare.

“Non chiedermi di domani” – le disse lui – “perché non ho risposte nemmeno per l’oggi”.

Liborio Rinaldi

  1. GIUSEPPE LIBORIO RINALDI 8 Maggio 2024, 15:00

    Leggo sempre volentieri i racconti di mio fratello Liborio e mi compiaccio che vengano pubblicati su questo periodico importante per noi Verbanesi.
    Liborio ha uno stile moderno di facile lettura e di argomenti che a volte fanno riflettere e commuovere.
    Giuseppe Liborio Rinaldi (fratello di Liborio Rinaldi)

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