SULLA QUESTIONE DEA GLI INTERVENTI DEI DUE EX SINDACI

SULLA QUESTIONE DEA GLI INTERVENTI DEI DUE EX SINDACI

Non poteva mancare sulla questione Dea che in questi giorni sta dominando la scena verbanese assieme all’esondazione del lago, il parere dei due ex sindaci Claudio zanotti e Marco Zacchera. Lo hanno pubblicato questa settimana sui rispettivi siti di riferimento, con una analisi delle vicende che nel corso degli anni hanno portato alla situazione attuale, e  lo riportiamo integralmente.

CLAUDIO ZANOTTI

La crisi “sanitaria” che in queste ore travolge quel che resta (poco, quasi nulla) del Vco ha tutte le caratteristiche del déjà vu e ci proietta a ritroso nel tempo, tra la fine del 200o e la metà del 2002. Allora l’oggetto del contendere era la dichiarata insostenibilità di una organizzazione ospedaliera fondata sui “reparti-doppione” del Castelli e del San Biagio (e del Madonna del Popolo di Omegna), che la Regione Piemonte a guida Ghigo intendeva risolvere con il COQ pubblico-privato (poi realizzato) e con l’ospedale unico a Piedimulera; oggi, in tempi di vacche magrissime, la contesa è arrivata all’osso e l’osso è rappresentato dalla dichiarata insostenibilità del “doppione-Dea” sui due ospedali. E, come una dozzina d’anni fa, il territorio si lacera, disegnando linee di frattura irrazionali e immotivate. In attesa dell’armageddon, potrebbe non essere oziosa qualche considerazione.

Primo. Il punto di crisi odierno è figlio del fallimento del progetto di Ospedale Unico Plurisede. E questo fallimento ha una data ben precisa: luglio 2011, quando la “filiera” delle Amministrazioni destro-leghiste in Regione, Provincia e Comune presentò i contenuti del Piano di Riordino della sanità del Vco targato Cota-Monferino. Si trattò di un balzo all’indietro di dieci anni, con il ritorno del concetto di ospedale “per poli” al posto di quello “unico e plurisede”. La crisi di oggi ha le sue ragioni e le sue radici in quella scelta. Tutto già visto e previsto, nell’indifferenza e nella stolida ottusità del sistema politico-amministrativo.

Secondo. La scelta dell’unico DEA del Vco imposto da Chiamparino (e dai conti disastrati della Regione) scioglierà una volta per tutte il “nodo” dell’ospedale provinciale (“cardine” o – come si dice oggi – “spoke”): ubi Dea, ibi nosocomium. Le ragioni che depongono a favore di Verbania sono quelle che già dodici anni fa si ergevano incontestabili contro la stupidaggine del “metaprogetto” di nuovo ospedale unico a Piedimulera. Un ospedale provinciale “cardine” o “spoke” deve trovare collocazione nella parte meridionale del Vco, per intercettare razionalmente non solo l’utenza che proviene da nord lungo gli assi stradali (superstrada e statale 34) e ferroviari (linea del Sempione) “di sistema” , ma anche quella che risiede nella grande conurbazione dei laghi ( più di 65.000 abitanti tra Verbania, Stresa, Baveno, Gravellona, Casale Corte Cerro, Omegna); in più, solo un ospedale provinciale “meridonale” può attrarre l’utenza del Basso Verbano e del Vergante oggi gravitante sugli ospedali del Novarese e del Varesotto. Se a queste inoppugnabili ragioni demografico-morfologiche si aggiungono quelle legate alle dimensioni e alla localizzazione dell’utenza stagionale turistica (800.000 presenze solo a Verbania, più quelle di Baveno e Stresa) e di quella socio-sanitaria (ospedali specialistici e riabilitativi di Piancavallo e Miazzina, le RSA di Verbania, di Cannobio e di Omegna), la collocazione del DEA e, di conseguenza, dell’ospedale “spoke” non può essere ragionevolmente diversa dal “Castelli” di Verbania.

Terzo. Poichè la ragionevolezza, per affermarsi, deve essere riconosciuta, non vi è alcuna certezza che la scelta della Regione sia quella di un Dea e di un ospedale “meridionale”. Se la decisione cadrà su Domodossola, la sanità ospedaliera del Vco prenderà una strada radicalmente diversa. La popolazione residente della fascia meridonale cercherà strutturalmente e sistematicamente risposte sanitarie di qualità attraverso la cosiddetta “mobilità passiva” in ospedali extraprovinciali (lombardi e piemontesi), che a parità di disagio logistico garantiscono già ora prestazioni di elevato livello (grazie ad adeguata casistica per un ampio spettro di patologie, a volumi significativi di interventi, alla disponibilità di attrezzature moderne, alla ricchezza di confronto professionale interno, al costante aggiornamento nei centri universitari, a standard alberghiero-assistenziali di valore….) irraggiungibili da un nosocomio periferico in un contesto demograficamente ridottissimo come sarebbe quello di Domo.  Già nel febbraio 2006, da sindaco di Verbania, suggerivo una soluzione di questo tipo, pensando all’ospedale di domani e a quello di dopodomani.

Quarto. La parte che in queste ore sta giocando la Regione Pimonte è profondamente sbagliata. La decisione dell’assessore alla Sanità di lasciare al “territorio” la scelta di quale Dea chiudere  trasuda cinismo e ponziopilatismo. Non possono non sapere, a Torino, che il Vco – radicalmente desertificato nella sua rappresentanza politica – non può fare altro che avvitarsi in un autodistruttivo campanilismo, la cui sindrome in queste ore si palesa con agghiacciante evidenza. La Regione Piemonte dispone di tutti gli elementi per assumere una decisione la cui responsabilità le appartiene in toto e che non può scaricare su comunità dilaniate e ormai prive di lucidità e di saggezza. Se il fallimento colpevole del progetto di Ospedale Unico Plurisede e la crisi finanziaria regionale non permettono di fare altro che quello annunciato lunedì scorso da Saitta, sia la Region a compiere in piena responsabilità la scelta del Dea unico e del conseguente ospedale spoke del Vco. Operino con razionalità, oggettività, ragionevolezza e lungimiranza.

Se così sarà, la decisione non potrà essere diversa da quella che in queste poche righe abbiamo suggerito.

 

MARCO ZACCHERA

Sta finendo come doveva finire ovvero la progressiva liquidazione di quel mostro a due teste che è l’ “Ospedale Unico Plurisede” con l’attuale mezzo ospedale a Verbania (anzi, ormai solo un terzo) e il resto a Domodossola. L’annuncio regionale del prossimo taglio di uno dei due DEA (con l’ipocrisia del solito “scegliete voi dove toglierlo”, ovvero far crescere le guerre intestine e di campanile) era scontato perché la spesa sanitaria regionale è in crisi. Il fatto è che tenere il DEA a Verbania sarebbe logico per numero di utenze, ma ormai a Domo ci sono la chirurgia e più specialità soprattutto chirurgiche e quindi credo che alla fine prevarrà la scelta del capoluogo ossolano. Il problema però non è DOVE andrà il DEA ma i RISCHI del territorio che ne sarà privato.

Credo sia corretto fare un po’ di storia che alla fine è sempre cosa istruttiva.

PRIMO TEMPO: Chissà quanti ricorderanno che intorno al 2000 si aprì la concreta possibilità di costruire un ospedale unico che logica, buonsenso e studi di fattibilità regionali prevedevano di realizzare ad ORNAVASSO, punto baricentrico per tutti. Dopo mesi di dibattiti si propose l’area di Piedimulera, che era più decentrata ma accontentava di più gli ossolani, ma intanto l’occasione dei fondi dell’articolo 20 della legge ospedaliera si era inaridita (chi vuol saperne di più legga sul mio libro “Inverna” tutta la storia) Scoppiarono infatti per mesi furibonde proteste in Ossola, la provincia tentennò, addirittura la sinistra (e purtroppo anche la Lega) vollero un referendum che – sia pur con pochi votanti – confermò: “Meglio tenere due mezzi ospedali”. Scelta miope, contro la logica dei tempi e non certo strategica, ma prevalsero le logiche di campanile, gli interessi di bottega e la paura di perdere voti sul territorio.

Chi come il sottoscritto e – va ricordato – l’allora ex presidente della provincia Ivan Guarducci (insieme al resto del centro-destra) sosteneva l’ospedale unico venne irriso e sbeffeggiato. Alla fine, come è noto, non se ne fece nulla.

SECONDO TEMPO: Quattro anni fa ero sindaco di Verbania, la regione già doveva “tagliare” e quando capii che alla fine Verbano e Cusio avrebbero perso buona parte dei loro servizi ospedalieri lo dissi e ripetei a tutti, ma mi diedero del visionario, del demagogo. La scelta di portare “temporaneamente” emodinamica a Domo – lo dissi subito – sarebbe stata la linea discriminante perché automaticamente dietro ad emodinamica sarebbero andati razionalmente tutta una serie di servizi e scelte strategiche.

Ma la cosa interessò poco: su 41 sindaci chiamati a raccolta per difendere il loro territorio alla seconda riunione se ne presentarono 13. “Zacchera è rimasto solo” scrissero sui giornali con la sinistra che si fregava contenta le mani e boicottava gli incontri e più di uno che godeva a destra nella logica del “Delegittimiamo Zacchera, avremo un concorrente di meno”. Quando insistetti anche apertamente denunciando il pericolo, colleghi di schieramento che allora sedevano in regione dissero e scrissero “Zacchera farnetica, ha visto un film”.

Sta ora esattamente succedendo quanto era facilmente prevedibile, il che non mi fa assolutamente piacere ma – ripeto – non perché i servizi andranno a Domodossola (anche gli ossolani hanno tutti i loro diritti) ma perché globalmente a perdere è stato l’intero VCO che ha sprecato una grande ed unica possibilità di realizzare quindici anni fa un nuovo ospedale non solo “unico” ma soprattutto di avanguardia e capace di richiamare sanità di qualità sul territorio e di questo ne portano responsabilità anche quei “comitati” che non sono capaci a vedere due dita oltre il proprio naso mentre ora si apre la questione vera della sicurezza della parte di territorio che resterà senza DEA.

Resta una constatazione politica: bene o male la destra i servizi sanitari sul territorio li ha mantenuti, la sinistra li distrugge e francamente – visto che adesso in zona comandano a tutti i livelli ed esprimono anche il vice-presidente della regione – sarebbe lecito aspettarsi qualcosa di più. Troppo facile accusare Cota e il centro-destra dei debiti pregressi perchè allora la stessa cosa (e anche peggio) valeva per la Bresso!

Sono verità e non inutili polemiche, sempre della serie “Nessuno è profeta in patria”.

Una provocazione finale però la faccio: se per meno di 300 partorienti ossolane è stato tenuto aperto un reparto per anni contro tutte le normative è giusto chiudere un DEA che a Verbania assiste in emergenza ogni anno più di 30.000 persone?

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