L’ARTE DI MARIO SIRONI AL MUSEO DEL PAESAGGIO

L’ARTE DI MARIO SIRONI AL MUSEO DEL PAESAGGIO

Nell’ambito della mostra “Armonie verdi. Paesaggi dalla Scapigliatura al Novecento” – nata dal progetto “Open” di Fondazione Cariplo con Fondazione Comunitaria del Vco – il Museo del Paesaggio propone alcuni incontri sui beni artistici restaurati grazie al contributo delle Fondazioni e alcune serate dedicate al tema della mostra aperta al piano nobile di Palazzo Viani Dugnani fino al 30 settembre.   Giovedì 31 maggio alle ore 17.30 Elena Pontiggia (curatrice della mostra “Armonie Verdi”) presenterà il suo libro “Mario Sironi. La grandezza dell’arte, la tragedia della storia”, nonché l’acquisizione in deposito al Museo della famosa opera “Il lago” del grande artista. L’aperitivo con la curatrice è in programma nel cortile di palazzo Viani Dugnani e in caso di pioggia  nella sala conferenze del Museo. L’ingresso è libero.

LA CURATRICE E AUTRICE DEL LIBRO   Elena Pontiggia, storico dell’arte, è docente all’Accademia di Brera. Si occupa in particolare dell’arte internazionale fra le due guerre e del rapporto fra modernità e classicità. Collabora alla Stampa e a varie riviste. Tra i suoi ultimi volumi: Hopper (2004); Modernità e classicità. Il Ritorno all’ordine in Europa (2008, premio Carducci 2009); Christian Schad (in corso di stampa). Su Sironi ha curato numerose mostre e pubblicazioni

IL LIBRO    MARIO SIRONI  “LA GRANDEZZA DELL’ARTE, LE TRAGEDIE DELLA STORIA”, Autore: Elena Pontiggia, Anno: 2015, Illustrazioni: 97 b/n e 17 colori, Arcoprint edizioni

L’OPERA    Mario Sironi (Sassari, 1885 – Milano, 1961)  “Il lago”  1926    olio su tela, 53 x 60 cm    Verbania, Museo del Paesaggio (deposito)

Alla metà degli anni venti Sironi, che nel primo dopoguerra aveva dipinto solo paesaggi urbani, inizia a dipingere paesaggi naturali. Anche qui tuttavia esprime il suo interesse per la solidità dei volumi (cioè, per dirla in termini non stilistici, per la solidità del reale) che manifestava nelle architetture cittadine e che subentra alla volatilità dei paesaggi impressionisti. Così l’acqua del lago non è una vibrazione di segni, ma una superficie compatta come una lastra di malachite, appena agitata al centro dal roteare di un gorgo. Il lago, insomma, rivela una strana imponenza. Non ha nulla di grazioso o di pittoresco, nulla di quella visione cartolinesca con vele che dondolano sull’acqua e nuvole sospese nel cielo che Sironi detestava. E’ il frammento di un mondo senza tempo, immobile, in cui lo smalto blu della superficie è incastonato in una chiostra altrettanto immobile di montagne. E, anche se sulle sue pendici si adagia un paese che sembra un presepio, la veduta idilliaca lascia posto a una sorta di sospensione e di attesa, vicina in parte a quella “atmosfera di stupore lucido” che Bontempelli teorizza proprio nel 1926-1927 (M. Bontempelli, Analogie, in “900”, giugno 1927, ora in Pontiggia 2006, p. 29).

Ci si potrebbe chiedere se Sironi si sia ispirato a un panorama che aveva in mente, anche se l’opera nasce da una ricerca stilistica, non certo da un’impressione. In effetti nel paesaggio, pur così mentale, si può cogliere il ricordo dei monti che circondano il lago di Como. Sono luoghi che l’artista conosceva bene, perché era spesso stato ospite (nel 1921 per alcuni mesi) della casa di Margherita Sarfatti a Cavallasca, oggi S. Fermo della Battaglia, sulle colline comasche. Cavallasca non si affaccia sul lago, che però si può ammirare dal vicino – e facilmente raggiungibile – Monte Sasso. Quello che interessa a Sironi, comunque, è la costruzione più che la visione. Con una prospettiva non realistica, dove la massa dell’acqua si alza sopra l’orizzonte, dispone le sue potenti e sintetiche volumetrie, coprendole con pennellate di colore dense e violente, volutamente approssimative.

 

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