CASO BORGHI: LA SORPRESA E I COMMENTI

CASO BORGHI: LA SORPRESA E I COMMENTI

Si susseguono a getto continuo le reazioni e i commenti a proposito del caso del senatore Enrico Borghi, che ha lasciato il Partito Democratico nel quale era stato eletto per approdare al partito di Matteo Renzi.  Una decisione che ha destato reazioni molto accese soprattutto perchè giunta del tutto inaspettata e pertanto traumatica anche per colleghi e compagni di partito che lo frequentano abitualmente, nonchè per  il modo in cui è stata resa nota attraverso una intervista senza comunicazioni preventive e non al termine di una fase di confronto.   Tra lettori e non addetti alla politica c’è chi, pur sorpreso, esprime comprensione per il cambio di partito, ma prevalgono toni duramente critici. Per le circostanze che abbiamo sopra ricordate, destano particolare interesse le reazioni in seno al Pd.   Se qualcuno aveva registrato da parte di Borghi qualche segnale di malcontento sulla svolta impressa al partito dall’avvento della segreteria Schlein,  nulla assolutamente lasciava presagire una scelta così improvvisa che pertanto ha spiazzato tutti suscitando un vero terremoto.

Abbiamo già pubblicato il comunicato diffuso dalla Segreteria Pd del Vco. A livello parlamentare la reazione di Francesco Boccia, capogruppo Pd a Palazzo Madama, esprime amarezza sul piano personale e delusione su quello politico: Ho appreso della decisione di Borghi leggendo la rassegna stampa. Penso che non siamo in Parlamento a rappresentare solo noi stessi. E sinceramente non vedo le ragioni che motivino la sua scelta, né nel merito, né nel metodo. Si discute, ci si confronta, ci sono sensibilità diverse, ma il Pd è una grande comunità. Come con tutte le senatrici e i senatori del gruppo avevo avuto un colloquio personale con lui, per ragionare del suo lavoro nel Copasir e per capire quali altri impegni potessero esserci per lui. Ora gli ho chiesto formalmente di lasciare il Copasir, perché in organismi come quello ci si sta in rappresentanza di un partito e non a titolo personale.

Domenico Rossi

Anche il segretario del Pd Piemontese Domenico Rossi commenta la decisione del senatore Borghi  con la dichiarazione rilasciata all’Agi:   La scelta di Enrico Borghi ha colto tutti di sorpresa. Non posso nascondere prima di tutto l’amarezza per le modalità adottate nel comunicare questa decisione. Il nostro è da sempre un partito in cui il dialogo trova spazio nelle sedi deputate, per questo avrei preferito che si aprisse un confronto, soprattutto con il territorio, che invece ha appreso tutto a giochi fatti. Comprendo la forte delusione dei tanti militanti e dirigenti che lo hanno sostenuto con convinzione durante l’ultima campagna elettorale. Credo che Enrico sbagli la lettura sulla situazione politica e sul Pd, perno della costruzione di un’alternativa alle destre, come anche lui ha più volte sostenuto da dirigente nazionale. …. Ritengo ingenerose e forzate le parole che ha usato per definire la nuova fase del partito. Siamo solo agli inizi di un percorso che non ha nulla di massimalista, ma che cerca di caratterizzarsi con più forza sui temi della giustizia, dell’ambiente e del lavoro. Il nostro partito resta una comunità aperta, inclusiva,  capace di coniugare sensibilità diverse attorno a un progetto che punta al rilancio e al progresso economico, sociale e civile del Paese, con un’attenzione privilegiata verso chi fa più fatica e per la difesa dei beni comuni, sanità e istruzione in testa.

Così dichiara Paolo Furia, segretario regionale uscente: Rispetto le scelte politiche di tutti, parlamentari compresi, non legati a vincoli di mandato. La cosa che mi colpisce più di altre nell’addio di Enrico Borghi al Pd è però lo stile. Nessuna avvisaglia, nessun passaggio con chi, sei mesi fa, ha fatto una campagna elettorale con lui. Quel partito che oggi Borghi lascia è il partito che ha dato per scontato che lui meritasse di occupare la prima posizione nelle nostre liste al Senato, io per primo; senza preoccuparci di quali posizioni avrebbe assunto al congresso, o quale fosse la sua corrente e la sua posizione politica. Sul dato politico vorrei solo dire che molti di noi che di cultura socialista sono rimasti nel pd durante gli anni di Renzi hanno subìto e sopportato senza andarsene. Enrico di quella fase renziana è stato uno dei più zelanti interpreti. Così come lo è stato, se ci si pensa bene abbastanza incredibilmente, della fase lettiana successiva. Ora il Partito Democratico nel quadrante nord ha perso tutta la rappresentanza territoriale, per effetto delle deleterie scelte di quel gruppo dirigente, che non possono essere dimenticate, e che sono tra le ragioni per cui in molti si sono detti: dobbiamo cambiare. Chi lo sa se Enrico se ne sia accorto.

Riccardo Brezza

Ed ecco ancora i commenti di due assessori dell’amministrazione comunale verbanese.  Riccardo Brezza, assessore all’Istruzione: Ho imparato che la scelta di uscire da un Partito ha un senso se questa raccoglie un diffuso sostegno popolare, un sentimento egemone nella società, una cultura politica che attende di essere interpretata. Fuori da questi casi troviamo più che altro scissioni dei dirigenti, del ceto politico; queste sono le scissioni senza popolo, destinate a fallire. Ecco, in questi casi la politica c’entra poco o nulla. Non si esce da un Partito con un’intervista, non si lascia una comunità con un tweet, ancor di più se si è portatori di una cultura politica che ha contributo a fondare il Partito Democratico. Il nuovo percorso che il PD sta costruendo a livello nazionale garantisce tutti i suoi militanti, nel complesso mosaico di sensibilità che questi rappresentano, pur volendo ritrovare una nettezza sui contenuti e una radicalità delle posizioni, come ci hanno chiesto gli elettori e le elettrici alle primarie. Quello che accade in queste ore nel nostro territorio non ci fa bene, ma abbiamo il dovere di tenere insieme la nostra comunità politica che continuerà a lavorare sodo e a raggiungere importanti risultati, a partire dalle prossime elezioni amministrative di maggio. Avanti!    Anna Bozzuto, assessore al Bilancio:  Più che la scelta, di cui non mi permetto di sindacare le ragioni, mi colpisce lo stile di questa decisione, o meglio la sua mancanza. Prima della politica, ci sono le persone e il modo con cui ci si relaziona con gli altri. Soprattutto se si fa parte di una comunità politica a cui si deve molto. E questo dovrebbe valere per tutti, anche se si è diventati importanti.

  1. Bisogna andare dritti al sodo della questione. Un partito, il Pd, che si avvia verso una scissione, anzi una diaspora, nel momento in cui si è deciso che non fosse più uno spartiacque, bensì una cerniera tra M5S & AVS. E credo che non sia finita qui. Altro che stile, forma, guardiamo ai contenuti, alla sostanza. Davvero si vuole che la gente capisca, ascoltando sproloqui degni del leader Maximo cubano, quando non si è capaci nemmeno di rispondere ad una semplice domanda. Un pippone di un quarto d’ora, minuto più minuto meno, sulla questione termovalorizzatore capitolino nonché relativo parere sulla posizione grillina: non si capiva nulla! Oppure la domanda era troppo difficile per avere una risposta chiara e precisa, magari non telegrafica, ma in tempi ragionevoli? Credo proprio di no….

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  2. Chi esce da un partito passa sempre da “traditore”. In realtà il Pd si dimostra ancora una volta non molto avvezzo alle regole democratiche nonostante il nome fuorviante. Detto questo meglio essere chiari. Il nuovo segretario è così e se non si è d’accordo si esce. Credo sia normale. Oggi il pd è massimalista e non riformista. Punto.

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    • Difatti il problema è proprio questo: si riduce un movimento politico ad una caserma. Che senso ha perdere tempo a discettare sul nome e/o i colori (DS/PDS/PD), come se si trattasse di un gioco di parole e simboli cromatici? Lo sanno tutti che, se la pensi diversamente, si finisce, prima o dopo, con l’essere emarginati: discorso comune a tutti i partiti della politica italica, nessuno escluso, visto che la democrazia interna è merce rara e costosa. E poi si lamentavano del decisionismo renziano! Piuttosto la cosa ha dato fastidio a qualcuno dei piani alti per il peso specifico che ha il parlamentare in questione. Questo Paese ha bisogno di concretezza, che non vuol dire scelte squilibrate. Quindi ben venga un centro moderato e riformista, con elementi sia cattolici che laici, che non vuol dire ritorno alla vecchia DC degli ultimi anni (intendo quella corrotta che è stata spazzata via).

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